giovedì 1 novembre 2012

I giovani e il Concilio


Lorenzo Banducci (nella prima parte) e Niccolò Bonetti (nella seconda) danno una testimonianza del Concilio oggi durante un' iniziativa organizzata dall'Azione Cattolica, svoltasi l’ 11 ottobre 2012 presso l'Oratorio San Giovanni Bosco a Viareggio, che ricordava i 50 anni dall'apertura del Concilio Vaticano II

Ammetto di essere quantomeno rimasto stupito, in senso positivo, quando ho saputo che nell’iniziativa di oggi qua a Viareggio vi sarebbe stata la possibilità per un giovane di raccontare il concilio “oggi”. Io ho avuto la fortuna di studiare per conto mio e grazie alle associazioni di cui faccio parte (l’Azione Cattolica e gli universitari cattolici della FUCI) quali siano stati i cambiamenti introdotti in quei meravigliosi anni di una nuova primavera della Chiesa, altrimenti ne saprei davvero pochissimo. 
Più che soffermarmi sulle innovazioni di natura ecclesiologica, teologica, liturgica ecc. vorrei invece incentrare questo intervento su qualche aspetto sia positivo, che negativo che è emerso dal Concilio ai nostri giorni per provare a vedere che cosa dobbiamo riprendere in mano nell’ottica del futuro.

Il concilio ci ha consegnato (e lo ha consegnato in particolare a noi giovani con quel meraviglioso messaggio di Paolo VI ai giovani del 7 dicembre 1965, testo che invito tutti a riprendere in mano), dicevo il concilio ci ha consegnato:

La possibilità di vedere una chiesa viva capace di interrogarsi sui problemi del mondo e sul suo modo di farsi conoscere e aprirsi a tutti (non credenti, altri cristiani, fedeli di altre religioni).
Un messaggio di speranza che si trova ben incastonato nel discorso di apertura del Concilio di Giovanni XXIII. Quella speranza che non ci fa vedere tutto intorno a noi come “sbagliato” o “da buttare”, ma che ci fa dire che ci sono degli aspetti positivi da valorizzare e per i quali vale la pena combattere.
Un nuovo linguaggio di apertura verso tutti, disposto ad ascoltare, a comprendere, ad includere e ad avvicinare. Un linguaggio che come cristiani dobbiamo mettere costantemente al centro della nostra vita, nel rapporto con gli altri, nella scuola, nel lavoro, nell’università, nella rete. Essere cristiano presuppone innanzitutto un tipo di stile che ci faccia diventare un esempio per la società. Diceva Aldo Moro: “Lo spirito del tempo consiglia a noi cattolici piuttosto di testimoniare i nostri valori con il comportamento, anziche' pretendere di imporli con la legge”. In questa frase dell’ex presidente nazionale della FUCI ed ex presidente della Democrazia Cristiana sta anche uno dei significati del cambiamento post-conciliare.

Resta dunque una domanda che come giovane non posso non pormi davanti a queste incredibili novità presentate dal Concilio. Com’è possibile che la Chiesa pur avendo introdotto così tante novità in quegli anni poi ne abbia saputo far tesoro così poco con i giovani che incontra nelle parrocchie e che compiono il cammino dei Sacramenti? La Chiesa con il Concilio ha solo saputo arginare la deriva dello “tsunami della secolarizzazione”, come anche in questi giorni lo ha definito durante il Sinodo dei Vescovi l’arcivescovo di Washington Cardinale Wuerl (usando peraltro un linguaggio che mi ha ricordato quello dei “profeti di sventura” contro i quali si era scagliato Giovanni XXIII). Arginare tale deriva, ma non interrogarsi in profondità su essa e sulle sue cause. Si è verificata la crescente difficoltà di presentare quanto sia bello vivere la vita da Cristiani facendo proprio il messaggio di Gesù e si è preferito ricorrere ad approcci più identitari e di arroccamento più facili da seguire, senza dubbio, ma che ci hanno fatto perdere la bussola su ciò che davvero era la base per evangelizzare, ovvero la centralità delle relazioni umane e dei legami, nonché l’ascolto profondo e attento del mondo.
______________________________________

"Non si converte, infatti, se non quello che si ama: se il Cristiano non è in completa simpatia col mondo nascente, se egli non prova in sé stesso le aspirazioni e le ansietà del mondo moderno, se non lascia crescere nel suo essere il senso dell'umano, egli non realizzerà mai la sintesi liberatrice tra la terra e il cielo da cui può nascere la manifestazione ultima del Cristo universale. Ma egli continuerà a ingannarci e a condannare quasi indistintamente ogni novità, senza discernere, tra le sporcizie e i mali, gli sforzi sacri di una nascita. Immergersi, per emergere e sollevarsi. Partecipare per sublimare. Questa è la legge stessa dell'Incarnazione. Un giorno, già mille anni fa, i Papi, dicendo addio al mondo romano, si decisero di « passare ai Barbari ».Un gesto simile, e più profondo, non è atteso anche oggi?Penso che il Mondo non si convertirà alle speranze celesti del Cristianesimo se prima il Cristianesimo non si converte (per divinizzarle) alle speranze della Terra”.


Cosi' scriveva il gesuita Theilard de Chardin molti decenni prima dell'evento conciliare.
Io credo che la grandezza del Concilio non siano state le sue riforme o le sue aperture ma il radicale riposizionamento della Chiesa nei confronti nel mondo.
E' stata una rivoluzione spirituale prima che teologico o ecclesiologica.
La Chiesa torna ad essere solidale con la storia degli uomini,vuole penetrare profondamente nella temporalità e nella storicità del vissuto dell'uomo contemporaneo per trovare in esso e non fuori di esso una via per giungere a Dio.
Non si tratta più di rinnegare il mondo,fuggire il secolo,distaccarsi dalla propria epoca per trovare Dio ma al contrario l'incontro con Dio non può che avvenire,per lo meno nel nostro tempo,in tutto ciò che venti secoli di cristiani avevano ritenuto “occasione prossima di peccato”.
La realtà mondana in tutti i suoi pericoli,le sue ambiguità,i suoi gridi soffocati al cielo,i suoi tormenti,i suoi angosciosi dubbi diventa il luogo per eccellenza in cui Dio ci comunica la Sua Grazia e in cui sperimentiamo il nostro essere Chiesa.
Il mondo è un sacramento e una benedizione.
Solo se riusciremo ad incarnarci nel nostro tempo e a condividere le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi,abbandonando ogni pregiudizio e ogni distacco,potremo essere annunciatori credibili dell'annuncio cristiano.


sabato 2 giugno 2012

Convegno Diocesano: Crisi della società, crisi dei cristiani?

ORIZZONTE E IDENTITÀ DEI CONVEGNI DI GIUGNO

Il convegno di giugno è un appuntamento qualificato e costituisce un momento di riflessione che vuole mettere a confronto il vangelo e la vita offrendo ai partecipanti stimoli per la loro riflessione. Il lavoro si svolge in due serate e prevede tre momenti: anzitutto si mette a fuoco il tema attraverso una relazione, segue un approfondimento-confronto dei partecipanti in gruppi su temi più specifici e nel secondo giorno si ha un rilancio propositivo con una riflessione e discussione in assemblea.

Negli ultimi due anni i convegni hanno cercato di stimolare la riflessione attraverso una domanda:

2010: Con Dio o senza Dio che cambia?

Lo stimolo era offerto dal confronto tra Enzo Bianchi e Flores D’Arcais e si approfondiva nei gruppi su vari ambiti di vita (rapporto con i beni, con la sofferenza e la morte, il lavoro, l’affettività e la sessualità, la convivenza sociale)

 2011: Dio è credibile?

La domanda ha posto l’attenzione sull’oggetto della fede: Dio viene creduto a partire dalle immagini che ci si fa di Lui. Lo stimolo critico è stato dato da Francesco Cosentino; nel secondo giorno il teologo Maurizio Gronchi ha concentrato l’attenzione su Gesù che nel suo agire e parlare ha mostrato un Dio che sorprende e va oltre le immagini che anche i credenti si fanno (e talvolta rendono Dio non credibile).


2012: Crisi della società, crisi dei cristiani?

Dopo aver posto l’attenzione su Dio il convegno prossimo pone l’attenzione sull’altro polo dell’esperienza di fede, il credente. Quando si parla di fede il discorso non può essere astratto perché la risposta di fede è di una umanità che vive in un contesto preciso che è dato da crisi, non solo economica, che stiamo attraversando. Il Convegno vuole dunque far riflettere su come stare da cristiani in tempo di crisi.

Il titolo contiene due elementi, società e cristiani che stanno dentro la crisi. Vogliamo comprendere la crisi nelle sue molteplici forme, ma anche nelle sue cause, nelle dinamiche, nell’incidenza che ha sul nostro territorio; vogliamo anche accogliere le domande che la crisi pone e cercare di scorgere come starci dentro in uno stile di vita che apre alla speranza.


SVOLGIMENTO


Lunedì 18 giugno

- ore 18.30: preghiera
- ore 19.00: dalle crisi alle opportunità: intervento, in assemblea a più voci per comprendere la crisi del nostro tempo: nel lavoro, nell’economia, nella convivenza sociale – individuando fatti, dinamiche e responsabilità, anche in riferimento al nostro territorio – cercando di intravedere prospettive di cambiamento. Relatori: Giulio Sensi, Lorenzo Maraviglia, Raffaello Martini.
- ore 20.30: Spostamento nelle sedi dei gruppi
- ore 20.45: gruppi tematici per l’approfondimento su quattro ambiti trattati in assemblea: lavoro, politica, economia, convivenza

Martedì 19 giugno

- ore 18.30: Preghiera
- ore 19.00: stare nella crisi da cristiani: relazione del giornalista Luigi Accattoli e discussione in assemblea
- ore 20.00: Interventi in assemblea e conclusione

lunedì 21 maggio 2012

Mal di Chiesa: i cattolici oggi tra disagio e speranze


L’inaugurazione del  concilio Vaticano II, di cui ricorderemo quest’anno il cinquantenario, rappresentò certamente un momento di grande apertura edi speranza  per i credenti  ed anche per persone in ricerca. Col tempo purtroppo la memoria di quella nuova “primavera della Chiesa” (che mons. Bartoletti innestò, pur tra notevoli difficoltà, anche nella nostra Chiesa di Lucca) si è purtroppo affievolita; e negli ultimi tempi, dopo l’entusiasmo dei primi anni di pontificato di Giovanni Paolo II, si è diffusa, anche tra i cattolici praticanti, una sensazione di disagio di fronte ad un apparato ecclesiastico spesso percepito (a torto o a ragione) come impermeabile  al soffio dello Spirito ed alle esigenze spirituali, magari un po’ disordinate ed anarchiche, di tante persone.  Ciò che è entrato in crisi è soprattutto il senso di appartenenza alla Chiesa: accanto all’atteggiamento religioso riassumibile nella formula “fai da te” si sono moltiplicate correnti ecclesiali spesso in forte conflitto tra loro, tanto da far pensare alla frase polemica di Paolo “io sono di Paolo, io di Cefa… e io di Cristo!”. Gruppi rumorosi di cattolici tradizionalisti si affannano sui blog per convincerci che tutti i mali presenti della Chiesa derivano dall’ottimismo (giudicato ingenuo) del Vaticano II ; altri gruppi vedono invece la soluzione dei problemi soprattutto in alcune riforme di struttura (come l’abolizione del celibato ecclesiastico) e nell’allentamento deri vincoli disciplinari e dottrinali, e per favorire un rinnovato dialogo tra Chiesa e cultura moderna propongono l’abbandono di formule dogmatiche e pastorali giudicate ormai inadeguate.
Questa esasperazione delle polemiche tra credenti (che, pronti a “divorarsi a vicenda”, sembrano dimenticarsi di avere come fondamento lo stesso Cristo) si è accentuata con l’esplodere di alcuni scandali all’interno della Chiesa, come quello della pedofilia ed anche alcuni scandali finanziari, che hanno prodotto in molti credenti la spiacevole sensazione di essere semplici spettatori di un sistema gestito da un vertice non sempre trasparente. Nonostante l’impegno teologico e pastorale di Benedetto XVI, non sempre vescovi e parroci sono riusciti a spiegare ai semplici fedeli il vero significato di certe decisioni  (come la revoca della scomunica ai lefevriani) ed a trovare il linguaggio adatto per tornare a parlare di Dio all’uomo d’oggi, al di là degli appuntamenti tradizionali e  dell’astrattezza di certi documenti e programmi pastorali in sé anche apprezzabili. Di fronte a questa sensazione di crisi, un giornalista non certo ostile alla Chiesa, anzi molto vicino a Giovanni Paolo II e già direttore dell’”Osservatore romano”, Gianfranco Svdercoschi, ha deciso di non chiudere gli occhi e di cercare di comprendere le ragioni di un disagio che, se non affrontato in modo adeguato, rischia di allontanare dalla Chiesa (e forse dalla stessa fede) molte persone. Per troppo tempo fenomeni scandalosi (come la pedofilia e l’uso spregiudicato del denaro) sono stati sottovalutati e anche  tollerati, in quanto la preoccupazione di salvaguardare il buon nome dell’istituzione è prevalsa rispetto all’esigenza di ifendere le vittime: ma oggi, osserva Svidercoschi, i cristiani non sono più disposti ad accettare con atteggiamento remissivo i comportamenti immorali di uomini di Chiesa che si sono consacrati al Signore.

Non ha certo giovato un ritorno, in questi ultimi anni, a forme di gestione “clericale” della vita comunitaria: l’idea conciliare di Chiesa “popolo di Dio” è stata un po’ accantonata, e troppi ecclesiastici decidono da soli, come se i laici fossero di nuovo un semplice oggetto della pastorale.   Occorre quindi recuperare uno spirito di “parresìa” all’interno della Chiesa, rendendo anche i laici compartecipi di una riflessione sulle scelte da compiere; e passare da una pastorale troppo incentrata sui “grandi eventi” e su figure carismatiche alla costruzione di percorsi formativi e spirituali che coinvolgano i credenti nella loro vita quotidiana ed anche nel servizio ecclesiale.  Inoltre la Chiesa troppo spesso mostra un volto arcigno nei confronti di chi non riesce ad essere all’altezza della vocazione cristiana (con qualche indulgenza di troppo nei confronti dei potenti): sarebbe probabilmente più utile rinunciare a condanne sbrigative e mostrare in positivo la bellezza del camminare nella fede e nell’amore incondizionato. Accanto alle parole dei documenti, per quanto veritiere, sembra necessario porre dei gesti significativi, che rendano ad esempio più credibili, con la testimonianza personale, i richiami teorici alla sobrietà ed all’opzione preferenziale per i poveri, superando “una certa reticenza a trattare dell’uso del denaro tra i cristiani” .
In una delle pagine più belle del libro, Svidercoschi osserva che il papa ha saputo parlare di Dio alle folle in occasione di alcuni viaggi apostolici; ma si chiede: “a questi giovani già così dubbiosi, così scettici, la Chiesa saprà dare delle risposte che riescano a catturarli o almeno a interessarli?... Quanti membri della Chiesa gerarchica sanno prendere per mano le donne e gli uomini che cercano di sentire la voce di Dio nella babele del mondo contemporaneo?” Ad esempio gli aspetti innovativi (come la rivalutazione dell’amore coniugale e della sessualità) dell’enciclica “Deus caritas est”  avrebbero dovuto tradursi in iniziative capaci di farli recepire nella realtà delle parrocchie; ma queste ultime sembrano troppo spesso limitarsi alla routine, per cui le riflessioni più alte del magistero non arrivano alla base.

Infine l’autore auspica, come alternativa ad un continuo rincorrere le emergenze (che colloca la Chiesa sulla difensiva), “una riforma che vada alle radici dei problemi ecclesiali”: essa presuppone un confronto serio e franco tra credenti, mossi dall’amore per la Chiesas e da una grande passione per un rinnovato annuncio del Vangelo all’uomo d’oggi.
Per confrontarci con l’autore su questi temi vi invitiamo a partecipare alla presentazione del volume Mal di Chiesa (Roma, Cooper, 2011), che si terrà venerdì 25 maggio, ore 17,30, a palazzo Ducale, per iniziativa congiunta dell’Ufficio diocesano per la cultura e del MEIC.

Raffaele Savigni

domenica 25 marzo 2012

La stagione del laicato organizzato non è finita

Nel suo contributo pubblicato su “Toscana oggi” il 25 marzo Pietro De Marco liquida sbrigativamente la stagione del laicato organizzato, riconducendola in modo decisamente riduttivo all’ispirazione dossettiana e giudicando inadeguata la risposta da essa fornita, con la “scelta religiosa”, alla crisi del ’68 ed alla secolarizzazione della società italiana negli anni ‘70. Mi pare una valutazione non solo ingenerosa nei confronti della grande passione per la Chiesa e per l’uomo che ha animato l’attività di uomini come Lazzati, Bachelet, Monticone, Casavola, ma anche profondamente sbagliata.
Non mancò, è vero, chi teorizzò in quegli anni (magari richiamandosi a Dossetti) una diaspora non solo politica ma culturale: ma l’Azione cattolica della “scelta religiosa” ed altri movimenti organizzati seppero riproporre in forme nuove un impegno associativo che non metteva affatto tra parentesi l’ispirazione cristiana; e col loro apporto negli anni ’70 la Chiesa italiana seppe  elaborare piani pastorali fondati sulla centralità dell’evangelizzazione. La dottrina sociale della Chiesa trovò oppositori ma non scomparve  affatto, negli anni ’70-80, dall’orizzonte dei cattolici italiani: l’impatto della “Populorum progressio” e delle successive encicliche sulla riflessione di associazioni come l’Azione cattolica e di settori del partito di ispirazione cristiana mi pare innegabile (ricordo tanti incontri dedicati all’impegno dei laici nella società ed ai problemi del Terzo mondo). Mi sembra piuttosto che negli ultimi anni le resistenze al pensiero sociale della Chiesa (da ultimo alla “Caritas in veritate” ed al documento elaborato dalla Commissione pontificia “Iustitia et pax”)  provengano da quel cattolicesimo conservatore (di cui è espressione ad es. Novak) che rinuncia ad ogni forma di critica nei confronti dei poteri economico-finanziari (responsabili della crisi in cui ci troviamo) e prospetta scelte politiche dei cattolici con riferimento pressoché esclusvo ai cosiddetti “principi non negoziabili”.
Il laicato cattolico degli anni ’80 era certamente troppo litigioso al proprio interno, e non si mostrò forse capace di riconoscere tempestivamente la gravità della “questione antropologica”; ma non era affatto “una costellazione disorientata e incontrollabile”. Se da un lato va riconosciuto al card. Ruini il merito di aver sottoposto all’attenzione di tutti la questione antropologica e di aver delineato il Progetto culturale, dall’altro mi sembra che quella stagione della CEI (di cui oggi percepiamo sempre più certi limiti) abbia mortificato, al di là dell’enfatizzazione dei movimenti guidati da leaders carismatici, il protagonismo dei laici e favorito il riemergere di forme di clericalismo, come hanno giustamente denunziato negli ultimi tempi Fulvio De Giorgi, Paola Bignardi, Giorgio Campanini. A questo neoclericalismo si è accompagnato un atteggiamento di acquiescenza  nei confronti del berlusconismo, motivato dalla ricerca di un sostegno politico e legislativo alle “opere” cattoliche ed ai “principi non negoziabili”: al di là di qualche innegabile vantaggio contingente (la legge 40, lo stop a proposte in direzione dell’eutanasia, le agevolazioni fiscali per le attività della Chiesa, di cui non nego affatto la legittimità), ciò ha comportato un affievolimento della tensione morale nella vita politica e la rinuncia di fatto, nelle scelte politiche della maggioranza dei cattolici (non più orientati da associazioni che si muovevano nella linea del Concilio), a quella prospettiva del bene comune che risultava invece centrale nella dottrina sociale della Chiesa, e che non può essere sbrigativamente etichettata come “statalista”.

Certamente un buon politico cattolico deve essere una persona competente, non soltanto un buon cristiano che prega spesso: ma, come ci hanno insegnato Maritain e Lazzati, una forte spiritualità laicale, alimentata da precisi percorsi associativi, è un presupposto imprescindibile per una buona politica che si ispiri al bene comune e non ad interessi particolari o a ideologie estranee; mentre un cattolico isolato viene facilmente risucchiato dalle logiche dei poteri forti.    

La stagione del laicato organizzato non è quindi finita, anche se bisogna continuamente ricalibrarne il pensiero e l’azione in rapporto ai “segni dei tempi”: in un contesto storico segnato da una presa di coscienza sempre più forte dei limiti di una politica per troppo tempo subalterna nei confronti dei grandi poteri economico-finanziari, e di una gestione troppo clericale della Chiesa, i laici cattolici italiani devono ritrovare gli strumenti per far sentire la loro voce nella Chiesa e ricominciare, dopo vent’anni di latitanza che hanno giocato a favore del berlusconismo, ad elaborare una cultura politica cristianamente ispirata (anche se certamente non più proponibile nei termini del “partito unico dei cattolici”). In questa direzione il movimento di cui faccio parte (il MEIC) ha elaborato il “Progetto Camaldoli” per promuovere una nuova maturità del laicato: l’anniversario ormai vicino del “Codice di Camaldoli” non può significare una riproposizione meccanica di un modello di presenza politica almeno in parte anacronistico, ma deve rappresentare l’occasione per ritrovare la tensione spirituale ed etico-politica che animava gli uomini che lo elaborarono.

Raffaele Savigni
Presidente diocesano del MEIC di Lucca  


domenica 11 marzo 2012

Cattolici protagonisti nella Toscana di oggi

UN'AGENDA DI SPERANZA PER IL FUTURO DEL PAESE

Il primo momento, comunitario, di Chiesa toscana sarà il 17 marzo 2012, che recepisce il documento conclusivo della Settimana sociale e celebra l' Eucarestia per rendere grazie a Dio per il dono che riceve per una rinnovata missione, che la chiama ad incarnarsi, assumere e portare le gioie e le speranze, le angosce e le sofferenze della propria gente con la gioia della fede nel Risorto. Un momento di comunione di tutte le Chiese toscane con i loro 19 vescovi, il clero, religiosi/religiose e il laicato cattolico, i consigli pastorali e coinvolgendo tutti i movimenti, le aggregazioni e le associazioni, organizzazioni che sono nati come dono dello Spirito in ordine alla missione e al rinnovamento permanente della Chiesa.